Katyn racconta dell'eccidio di 22.000 polacchi, in gran parte ufficiali dell'esercito, compiuto dai Sovietici nella primavera del '40. Non si ferma alle vittime ma indaga il dramma dei loro familiari e di chi (pochissimi) è sopravvissuto.
Se terribile fu l'eccidio, peggiore, credo, fu quel che venne dopo: per anni, entrata la Polonia a far parte del blocco sovietico, fu vietato (e sanzionato anche con la morte) dire la verità sull'accaduto. La strage fu attribuita ai tedeschi e datata nel '41: anche una lapide con la data del '40 fu sufficiente ad essere imprigionati. Questa impossibilità di poter dire la verità mi pare la cosa più forte della storia di Katyn: la scelta tra la verità e la vita cui sono stati costretti milioni di polacchi. Il film la rende degnamente ed è straziante. Nelle sale polacche è stato visto da oltre tre milioni di spettatori (la Polonia conta circa venti milioni abitanti). In Italia è rimasto in programmazione solo alcuni giorni, in alcune delle poschissime sale ancora attente a proporre un cinema di qualità. Nessuno se ne è lamentato.
Anche questo dovrebbe fare riflettere.