sabato 26 marzo 2011

Scampia, Italia.

Nello scorso mese di novembre, assieme all’amico Andrea Brera che lì ha realizzato un suo bellissimo reportage fotografico, sono stato a Scampia.
Per curiosità e perché mi piace l’idea che per parlare delle cose bisogna prima toccarle con mano. Avevo infatti in programma di realizzare uno spettacolo teatrale che parlasse del vivere in questo angolo d’Italia del quale il resto d’Italia ha deciso di fare a meno. L’idea mi era venuta leggendo un libro passatomi proprio da Andrea: “Manuale del perfetto venditore di droga. Romanzo con business plan.”, di Alessandro Esposito. A farci da Cicerone tra le Vele, le Case dei puffi, il campo Rom sotto l’asse mediano, l’opera Don Guanella, il parco, il mercato, la scuola occupata e i palazzi anonimi c’era Ciro. Ciro, che di cognome fa Corona, lavora per un’associazione che tra le varie cose organizza percorsi di legalità per i ragazzini che vivono a Scampia. In parole semplici lui e chi lavora con lui si prendono i ragazzi da casa, li seguono nel loro iter scolastico e cercano di insegnare loro che esiste anche un modo onesto per vivere e guadagnarsi il pane. In un posto dove fin da bambino t’insegnano che se non fotti il prossimo sei un coglione, quella di Ciro e dei suoi mi è sembrata un’impresa titanica, degna di tutta la mia stima. Così, tornati a casa, io e Andrea abbiamo raccolto un po’ di amici sui quali sapevamo di poter contare e, piano piano, abbiamo cominciato a lavorare all’idea di raccontare a Milano che, ottocento chilometri più a sud, in una terra dove tutti pensano che ci sia solo droga e delinquenza, vivono alcune decine di migliaia di persone che cercano di fare una vita normale. E in mezzo a queste persone ce ne sono centinaia e centinaia che si battono perché la propria terra sia un posto migliore dove stare. E la terra di queste persone, che per noi così lontani si chiama Scampia, per loro si chiama Italia.
Gli amici con cui ci siamo messi al lavoro si chiamano Andrea Tammaro, Gabriele Villa, Cesare Giuzzi, e via via a loro si sono aggiunti altri amici e persone che abbiamo incontrato lungo il percorso. Così, quello che doveva essere un piccolo tributo si è trasformato pian piano in un evento la cui portata è andata ben oltre le nostre aspettative: un mese intero di incontri, mostre, presentazioni, concerti, spettacoli e proiezioni, “per raccontare l’altra faccia di Gomorra: la Scampia che resiste e non si arrende”. A Milano, perché Milano è sempre più terra di conquista da parte della criminalità, e non arrendersi a Scampia, difendere il territorio, diventa allora un modo per difendere Milano, così come Roma, Palermo, Bologna, Firenze, Venezia, Torino e l’Italia intera. Perché ogni pezzo di terra lasciato al nemico è una roccaforte in più da smantellare, una ferita in più da medicare prima che diventi cancrena.
Ai molti appuntamenti, il cui lungo elenco è consultabile sul sito che abbiamo creato, all’indirizzo www.scampiaitalia.it, parteciperanno tante persone che hanno dato la loro disponibilità, a cominciare da Alessandro Esposito, autore del libro da cui è partito il tutto, il quale col suo spirito intraprendente è entrato a pieno titolo nel gruppo degli organizzatori. E con lui Ciro Corona, che assieme a Don Aniello Manganiello e a Daniele Sanzone degli A67 (che apriranno l’evento col loro concerto), verrà a presentare il progetto Scampia Trip. E ancora Sergio Nazzaro, Davide Cerullo, Fabio Abati, Igor Greganti, Pasquale Passaretti, Bruno Bigoni e Valerio Spada, che porteranno il proprio contributo, chi come fotografo, chi come scrittore, giornalista, documentarista, attore. E Giovanni Pelloso, critico, fotografo e giornalista, che condurrà un bellissimo incontro con Valerio Spada e Andrea Brera, autori entrambi di reportage in terra di camorra, alla scoperta della loro esperienza diretta nel rapporto con le persone, i luoghi, le sensazioni. E ancora la Pina, di Radio DJ, la quale con entusiasmo ha accettato di condurre una serata dedicata al fenomeno neomelodico, assieme ad Armando Sanchez, di Radio Studio Emme, e Federico Vacalebre, de “Il Mattino”. E tutti gli ospiti di primissimo piano che animeranno l’incontro al Circolo della Stampa, nel quale si affronteranno i problemi del giornalismo d’inchiesta di fronte alla criminalità: Roberto Bichi, presidente della 1° sezione civile del Tribunale di Milano, l’avvocato Raffaele Della Valle, Giulio Cavalli, coraggiosissimo attore, e i giornalisti Giovanni Negri, Alberto Spampinato, Gianni Barbacetto, Renzo Magosso e Susanna Ambivero. E Alessio Galbiati e Roberto Rippa, di Rapporto Confidenziale, i quali hanno dato il loro contributo con una rassegna cinematografica ricchissima di documenti di assoluta qualità e di curiosità da non perdere. E Paola Savoldi, che assieme a Daniela De Leo ha organizzato il seminario di apertura sull’urbanistica delle periferie. E Rebecca Travaglia, che ha curato la grafica del materiale promozionale. E Annalisa Corbo e Rossella Savino, che hanno tenuto i rapporti con la stampa. E ancora Melina Scalise, di Spazio Tadini, Deborah De Bernardi e tutto lo staff di Areapergolesi/Maison Fou, lo staff di Palazzo Granaio, del Bitte, dello Spazio Frida, dello Spazio A, il Susp, la Virgolaz, i DescargaLab e i gruppi di Baggio e del Giambellino e tutti gli altri che qui non posso citare per questioni di spazio ma che hanno contribuito alla realizzazione di questo bellissimo evento, ai quali per questo va tutta la mia gratitudine.
Da lunedì prossimo la passione di tutte queste persone è a vostra disposizione: approfittatene, perché sarebbe un peccato non farlo. E perché sono sicuro che ne uscirete anche voi arricchiti, come è successo a me.
A presto!

Gaetano

P.S.: Ah, dimenticavo! Lo spettacolo teatrale di cui parlo all’inizio l’abbiamo fatto. È in scena anch’esso nell’ambito dell’evento, dal 14 al 17 aprile, presso un piccolo teatro milanese dove spesso ci piace presentare i nostri lavori. Trovate qui tutte le info: http://www.scampiaitalia.it/128/benedetto-colui-che/.

sabato 5 marzo 2011

Chamaco



Qualche anno fa, durante un viaggio a Cuba, raccolsi in una libreria di Pinar del Rio alcuni libri di autori locali. 
Uno, in particolare, mi colpì: Chamaco, di Abel Gonzalez Melo. Tornato in Italia decisi di tradurre il testo con l’idea di pubblicarlo. Scrissi all’editore cubano senza credere più di tanto nella possibilità di una risposta ma, a dispetto della mia scarsa fiducia, solo un paio di giorni dopo avevo già le informazioni richieste: Abel vive a Madrid, torna saltuariamente a l’Avana, puoi contattarlo così e così. Gli scrissi e poche settimane dopo, assieme all’amico René - argentino, dunque madrelingua - ero a Madrid a discutere il progetto.
Con Abel abbiamo lavorato due giorni a tempo pieno, per essere sicuri di cogliere il senso di ogni frase, le ragioni di ogni azione, il colore di ogni atmosfera. E poi ancora per altri due mesi ci siamo scambiati opinioni e punti di vista, verificando di non tradire il significato di ogni singola parola tradotta. Oggi, a distanza di quasi tre anni, questo lavoro meticoloso e artigianale è diventato un libro. Di più: è il primo libro di un progetto editoriale che ho seguito personalmente, con il preziosissimo aiuto di René e di Abel. Questo progetto si chiama Hackmuth e ha per logo un cagnolino che ride (a voi scoprire il perché!). Per una volta dunque approfitto di questo spazio per parlare di un libro della cui esistenza, almeno in italia, mi sento in parte artefice. Lo faccio tramite la prefazione che ho scritto.
Se qualcuno di voi volesse acquistarne una copia, consiglio di scrivermi, in quanto al momento solo poche librerie lo hanno in vendita. Le spese di spedizione sono a mio carico, ovviamente. Se invece avete un amico libraio, consigliategli di mettersi in contatto con me per averne delle copie in conto vendita! In ogni caso, buona lettura.


Perché Chamaco

Sono arrivato a Chamaco per puro caso, durante un viaggio solitario a Cuba, in cerca di qualcosa di cubano che non fossero le grosse auto americane degli anni cinquanta. In una libreria di Pinar del Rio, particolarmente ben tenuta e ordinata, ho fatto incetta di alcuni libelli dalla grafica vivace. Testi teatrali e altre opere di giovani autori cubani, fra cui Chamaco. Non conoscevo ovviamente né l’autore né l’opera, né, per la verità, avevo mai letto niente di quanto prodotto dalla letteratura dell’isola. Ne fui impressionato subito. Per la freschezza del linguaggio, per la schiettezza dei caratteri, per i tratti duri e marginali dei personaggi e al tempo stesso per la loro tragica purezza.
Chamaco è un opera dove non ci sono buoni e cattivi, ma solo uomini e donne, esseri umani di fronte alla vita. Come nelle opere di Eschilo e Sofocle, non è l’attesa di scoprire come stanno le cose a tenerci incollati alle pagine - sappiamo già tutto - ma il desiderio di veder dispiegarsi la tragedia umana che intuiamo dietro i tratti di ogni personaggio, fin dal primo incontro con loro. Ed è una tragedia mai banale, tantomeno esplicita, sempre sofferta. E questo rende Chamaco, che in sé è un’opera terribilmente cubana - nel senso che nella realtà di Cuba affonda le radici nella maniera più profonda - un’opera di respiro internazionale. Come se il vento che soffia fra le fronde dei rami del Parco Centrale de L’Avana, correndo lungo il Prado fino al Malecon, portasse l’aria di questa città per il mondo, diffondendone gli odori e le storie. Se L’Avana è il contesto - essenziale - perché si scatenino gli eventi, le emozioni e i conflitti che ne scaturiscono sono di ogni luogo. E le relazioni fra gli uomini che le vivono, uomini e donne che incarnano la Cuba più miserabile e reale - diremmo, quotidiana - sono anch’esse universali. 
Nascono a Cuba, a L’Avana, ma sono di tutto il mondo. E, come scrive Carlos Celdrán nella sua prefazione all’edizione cubana di Chamaco, sono descritte “con una sensibilità, un’immediatezza e una sintesi assolutamente contemporanee”. Universali, aggiungiamo. Per questo Chamaco, che è un testo che nasce per il teatro, riesce ad essere anche romanzo e racconto e ancor di più, per le immagini evocate, per l’intreccio e per il “montaggio” delle scene, cinema. Nella sua versione più nobile: quella che mette lo strumento narrativo al servizio della narrazione, esaltandone i contenuti ma sempre con discrezione, senza mai arrivare a coprire le parole, i fatti, con gli effetti
speciali.
Per questo, credo, e per altri motivi che i lettori - spero molti - vorranno cogliere, Chamaco meritava di essere tradotto e portato in Italia. 
Così, con inaspettata sempicità, attraverso l’editore cubano ho preso contatto con Abel, che oggi vive a Madrid per lunghi periodi dell’anno, e ho chiesto il suo assenso.
Abbiamo lavorato insieme per alcuni giorni, con lui e con l’amico René Fourés, e poi a lungo a distanza, per arrivare a una traduzione che fosse quanto più possibile fedele all’originale, che ne rispettasse le atmosfere e talora anche il senso letterale dei termini. Un lavoro di cesello reso possibile anche dall’enorme passione con la quale Abel si dedica alle proprie “creature”, fra le quali Chamaco, in quanto primogenita, è senz’altro la prediletta. 

CHAMACO
di Abel González Melo
trad. di Gaetano Ievolella e René Fourés
Hackmuth | Libri da leggere
Edizioni Argonautiche
ISBN 978-88-96843-07-9


96 pagine, 9€