venerdì 15 ottobre 2010

Kertesz. Il fotografo col cuore in mano.

Per chi avesse la fortuna di trovarsi in questi giorni a Parigi c’è un appuntamento davvero da non mancare: al Jeu de Paume sono esposte le foto di una vita di André Kertesz.

Nato in Ungheria nel 1894, Kertesz si trasferisce giovane a Parigi e quindi, successivamente, a New York, dove muore nel 1985. Inizia a fotografare la quotidianità del suo piccolo paese d’origine: le donne, gli uomini, i bambini, intenti a lavorare, giocare, ridere, chiacchierare, correre, scherzare, spiare, mangiare, dormire. In Francia Kertesz si trasferisce proprio perché della fotografia decide di voler fare il suo lavoro, e Parigi saprà ripagarlo facendogli scoprire che non solo gli uomini ma anche le cose degli uomini, le città, hanno un’anima. Sempre attratto dalla novità, decide di volare a New York per un contratto, ma negli States quelle immagini così cariche di emozioni non avranno successo. Ciononostante Kertesz decide di rimanere oltreoceano. Tornerà in Francia e in Ungheria solo molti anni dopo, in un viaggio durante il quale andrà alla riscoperta dei luoghi e dei soggetti dei suoi scatti passati. Recupererà durante il viaggio un certo numero di suoi negativi, dai quali sarà capace di trarre nuove immagini ritagliando le inquadrature e rileggendo sotto altra luce il lavoro fatto anni prima.

Lo stile di André Kertesz è semplice, limpido, essenziale. Attentissimo alla composizione, di assoluta pulizia ma al tempo stesso incredibilmente magica, evocativa. Sì, perché primo fra i primi André Kertesz ha scoperto un fatto essenziale, che oggi potremmo dare per scontato ma che non lo era certo ai tempi, ossia che l’immagine parla al cuore prima che alla ragione.
I suoi occhi si fermano per la prima volta su un ragazzo addormentato. Poi su un uomo che attraversa i binari di una ferrovia, su un pittore che pare dipingere la sua ombra, su un braccio che spunta inconsueto da una parete attraverso una ventola, su una forchetta appoggiata ad un piatto, sulle ombre proiettate in terra da alcuni bambini in cammino, su una coppia di mezza età che spia le acrobazie di un circo attraverso la fessura di una staccionata, sui particolari degli atelier dei suoi amici artisti. Un uomo in piscina che nuota completamente sommerso e la sua immagine deformata dall’acqua colpiscono la sua attenzione e fanno scoccare la scintilla di un'autentica passione per le mille deformazioni che il corpo umano può subire attraverso l’uso di specchi concavi e convessi. Le geometrie dei viali, delle scalinate, delle panchine e degli alberi di Parigi acquistano attraverso l’obiettivo della sua macchina una nuova e inattesa aura di romanticismo. Un incrocio visto dall’alto, un parco illuminato ricoperto di neve, il gioco delle luci e delle ombre dei passanti su un muro suggeriscono nuove prospettive, nuove magiche interpretazioni del reale.

Kertesz fotografa con il cuore, fotografa quello che gli piace, quello che lo colpisce: la bellezza della vita in tutta la sua semplicità. Sa coglierne ora gli aspetti comici, ora quelli malinconici, ora gli uni e gli altri insieme. Senza mai eccedere, senza mai concedere nulla alla voglia di colpire ad ogni costo. E’ proprio qui, credo, la dote che lo rende grande: la discrezione, spesso accompagnata da un sorriso, di chi sa che non è necessario darsi pena per esaltare la magia del la vita, giacché è sufficiente attirare l’attenzione sul giusto particolare e ciascuno saprà trovare il suo gusto nell’assaporarla a modo proprio.

Finirà a ritrarre camini da lontano, dalla finestra del suo appartamento newyorkese, quasi a voler sottolineare la sua solitudine incompresa e al tempo stesso a rivendicare la sua autonomia e la sua voglia ancor viva di andare sempre e comunque alla ricerca di un particolare entusiasmante, anche laddove potrebbe sembrare che vi sia solo fumo nero e fuliggine.
L’ultimo suo scatto ritrae la figura di un uomo dietro un vetro opaco, intento a osservare un mare calmo e piatto. Nient’altro è rimasto da dire, se non il nulla.

Al Jeu de Paume è raccolta una parte assai importante del lavoro di André Kertesz: pressoché tutti i suoi scatti più famosi, una grande quantità di negativi esposti in originale e un film-intervista che documenta il suo viaggio attraverso le tre città nelle quali visse.
Dalla visita si esce con quel senso di piacevole soddisfazione che si prova dopo una cena in un buon ristorante, e con quella leggera malinconia che tocca il cuore quando si considera che qualcosa di prezioso ora non c’è più.



Info: Kertesz al Jeu de Paume 

sabato 2 ottobre 2010

Lux vs. Woodman

Francesca nasce nel 1958, a Denver, Colorado. Inizia a scattare le prime foto a tredici anni. Le stampa da sola, nella propria camera da letto, trasformata in studio fotografico. Questo rapporto intimo e privato con la macchina fotografica la accompagna per tutta la vita: il suo lavoro è quasi per intero composto di autoscatti. Si ritrae in contesti desolati, talora squallidi, comunque essenziali, assumendo pose inconsuete, nelle quali quasi mai compare in volto mentre spesso è nuda o seminuda. Sovente si tratta dei medesimi luoghi in cui vive.
Dietro ogni immagine sua s’intuisce una ricerca meticolosa del risultato finale. S’intuisce la voglia di scavare dietro la superficie della materia, dentro quel corpo, che è il suo, che con la stessa sua arte Francesca pare voler distruggere, forse umiliare, senz’altro nascondere, mimetizzare, annullare. Muore sucida a soli 22 anni, prigioniera dei suoi incubi.

Loretta è del 1969, nata a Dresda, in quella che allora era la famigerata Repubblica Democratica Tedesca. Riesce a trasferirsi a Monaco nel 1989, prima però della caduta del Muro, e lì studia pittura. Dieci anni dopo abbandona la pittura e si dedica alla fotografia. Non si tratta di un abbandono vero e proprio: Loretta porta con sé il suo bagaglio di esperienze e lo applica alla nuova tecnica, facendo ricorso agli strumenti che l’informatica e la tecnologia le mettono a disposizione. Fotografa bambini, in posa, abbigliati con abiti che ricordano un passato che non c’è più. E li trasferisce in un mondo di sogno, fatto di colori morbidi e ovattati, intriso di una serenità surreale, raggelante. Il risultato è vivo, commovente, reale in una maniera stupefacente, inquietante per la sua capacità di cogliere la furia che ribolle dietro la calma apparente.

Due approcci diametralmente opposti alla fotografia. Da una parte il rispetto formale, il bianco e nero dettato dalla luce, l’immagine fedele, la ricerca introspettiva, la scarnificazione della tecnica ridotta all’osso del suo essenziale. Dall’altro la rivoluzione, il colore selezionato dall’estro, le regole piegate alle esigenze artistiche, la manipolazione, l’occhio che corre sul mondo fuori, guarda al passato e s’interroga sul futuro. Nessuno scandalo se, per una volta, questo secondo pare anche più efficace del primo: l’arte è ancora un fatto umano.

Tutto questo si può ancora vedere a Milano: Francesca Woodman è a Palazzo della Ragione, fino al 24 ottobre (ingresso 8€), e Loretta Lux alla Galleria Carla Sozzani, fino al 31 ottobre (ingresso gratuito).